L’infortunistica stradale, intesa come disciplina di ricostruzione dei sinistri, trova il suo pieno significato se inserita nel contesto delle scienze forensi. Essa non è mera applicazione di formule fisiche, ma sintesi complessa tra tecnica, logica e diritto.
La ricostruzione di un incidente implica l’interazione di variabili umane, meccaniche, normative e ambientali, richiedendo un approccio epistemico rigoroso.
Il tecnico non è semplice esecutore di calcoli, ma interprete che traduce dati in argomenti giuridicamente comprensibili. In questo scenario, l’intelligenza artificiale rappresenta una sfida: strumento potente, ma non sostitutivo dell’indagine, della valutazione e della responsabilità umana.
La qualità e la tracciabilità del dato restano imprescindibili per garantire verità processuale e giustizia. Occorre una nuova alleanza tra scienza e diritto, fondata sulla comprensione reciproca dei linguaggi e sulla resistenza alla semplificazione. L’infortunistica stradale è crocevia di saperi, dove la tecnica diventa cultura e la ricostruzione un atto di giustizia conoscitiva.
Introduzione
L’infortunistica stradale, intesa come disciplina che si occupa della ricostruzione dei sinistri e dell’analisi delle loro dinamiche, trova oggi il suo pieno significato soltanto se collocata all’interno del più ampio quadro delle scienze forensi. È infatti nella prospettiva forense — cioè in quella scienza applicata che unisce rigore tecnico e funzione giudiziaria — che l’attività del ricostruttore assume il suo autentico valore epistemologico e culturale.
Le scienze forensi, nella loro accezione classica, si articolano in due grandi aree: la criminologia e la criminalistica.
- La criminologia indaga la dimensione umana, psicologica e sociale del comportamento deviante: mira a comprendere il soggetto autore del reato, le sue motivazioni, i suoi contesti di riferimento e le dinamiche che conducono all’atto criminoso.
- La criminalistica, invece, rappresenta la dimensione più “tecnica” della conoscenza del fatto. Essa si occupa di raccogliere, analizzare e interpretare le tracce materiali del reato: impronte, residui, DNA, elementi balistici, fisici, chimici o digitali, in modo da consentire un accertamento probatorio oggettivo, basato su leggi scientifiche di copertura e su dati empiricamente verificabili.
È tra queste due dimensioni che la ricostruzione di un incidente stradale trova la sua collocazione naturale. La sua posizione non è mai semplice né riducibile a una mera applicazione di regole fisiche o matematiche. Si tratta della ricostruzione di un fatto complesso, esaminato nel suo insieme e non nella parzialità della valutazione di un singolo elemento e che costringe la ricostruzione a continui passaggi di stato, non si tratta solo di criminalistica.
Il carattere complesso e complicato del sinistro stradale
La ricostruzione di un sinistro è una sintesi complessa tra dimensione logica, empirica e giuridica, in cui il tecnico non si limita a risolvere un problema meccanico, ma deve interpretare un evento umano calandolo all’interno del processo giudiziario.
Per comprendere fino in fondo la natura del lavoro ricostruttivo, è necessario riflettere sui termini complesso e complicato, che vengono spesso confusi ma che racchiudono differenze essenziali.
Un evento complesso, come un incidente stradale, è un evento composto da più elementi in relazione reciproca, la cui totalità non può essere ridotta alla semplice somma delle parti.
La complessità implica interazione, dinamica, retroazione, mutua dipendenza. Un sinistro stradale, da questo punto di vista, è certamente un evento complesso: esso coinvolge almeno quattro variabili fondamentali — il conducente, il veicolo, la strada (nella sua più ampia accezione) e la regola di circolazione — ciascuna delle quali interagisce con le altre in modo non lineare.
Il termine complicato significa piegare insieme, intrecciare. L’evento complicato è ciò che risulta difficile da districare, ciò che si presenta come avvolto su sé stesso, intricato, stratificato. Il complesso è una struttura viva e dinamica, il complicato è un insieme di nodi che richiede pazienza, metodo e intelligenza per essere sciolto.
Il sinistro stradale è dunque al tempo stesso complesso e complicato: complesso, perché implica l’interazione di più sistemi (umano, meccanico, normativo, ambientale); complicato, perché ogni fattore non solo interagisce ma può deformarsi, alterarsi, cambiare nel tempo e nello spazio. In esso convivono elementi scientifici (velocità, energia, attrito, deformazione), ma anche elementi logici e giuridici (comportamento, norma, causalità). È proprio questa duplice natura a rendere la ricostruzione un esercizio tanto affascinante quanto arduo.
La ricostruzione come operazione logico-scientifica
Ricostruire un incidente non significa soltanto determinare numeri o calcolare velocità, ma ricondurre un fatto passato alla sua “Verità logica e logico-probabilistica”. L’attività del tecnico si muove quindi su due piani paralleli:
- il piano delle leggi di copertura scientifica, cioè delle conoscenze generali e delle relazioni causali dimostrate sperimentalmente;
- il piano della logica applicativa, che consente di collegare quelle leggi universali al caso concreto, attraverso inferenze, deduzioni, ipotesi e verifiche empiriche.
Questa duplice prospettiva implica una grande responsabilità epistemica: ogni ricostruzione è un atto di mediazione tra la teoria e il caso, tra la scienza e il diritto, tra il modello e l’evento. Essa non può essere mai neutra, perché richiede scelte, valutazioni, esclusioni. Il ricostruttore, dunque, non è un semplice esecutore di calcoli, ma un interprete tecnico che traduce dati in argomenti, fenomeni in ragionamenti, misure in significati giuridicamente comprensibili.
La dimensione processuale del lavoro tecnico
Ogni ricostruzione è chiamata a vivere dentro un contesto che non è soltanto tecnico, ma anche giuridico e processuale. L’evento ricostruito non rimane confinato nel laboratorio o nel software di simulazione, ma viene “reintrodotto” nel processo — civile o penale — come elemento di prova, come tessera di un mosaico argomentativo che spetta poi al giudice ricomporre.
Questo passaggio — dal piano tecnico al piano giuridico — è tutt’altro che secondario: esso segna il punto di contatto tra due linguaggi differenti. Da un lato, il linguaggio della tecnica, che si fonda su relazioni misurabili e su catene causali; dall’altro, il linguaggio del diritto, che si fonda sulla logica della responsabilità e sulla ricerca della verità processuale.
L’incontro di questi due linguaggi può generare incomprensioni o distorsioni se non vi è una solida cultura comune tra il tecnico e il giurista.
Il tecnico ricostruttore deve quindi conoscere — e rispettare — le regole processuali entro cui il suo operato si inscrive. Ogni sua indagine, ogni suo rilievo, ogni suo calcolo deve essere concepito nel rispetto del perimetro che il diritto stabilisce. Uscire da quel perimetro significa introdurre nel procedimento elementi che non possono essere valutati, alterando l’equilibrio probatorio e minando la stessa giustizia della decisione.
La figura del giurista, d’altra parte, non è meno tecnica di quella del consulente. Il giurista è, per definizione, un tecnico del diritto, non un creatore arbitrario di norme (tanto più quando si trova applicato in processi e procedimenti). Egli opera applicando regole, interpretando concetti, costruendo nessi logici che traducono la realtà dei fatti nella forma giuridica della decisione. Da qui nasce una relazione di reciprocità tra il tecnico e il giurista: il primo fornisce al secondo i dati e le interpretazioni di realtà; il secondo restituisce loro senso giuridico e coerenza normativa.
Il logos come ponte tra pensiero e parola
La logica, nel suo senso originario, è radicata nella parola greca lógos, che significa al tempo stesso pensiero e parola. Il logos non è un semplice strumento di ragionamento, ma la forma stessa in cui il pensiero si manifesta attraverso il linguaggio. In ogni attività forense, il logos rappresenta il ponte tra il dire e il pensare, tra il comprendere e il comunicare.
Nel contesto dell’infortunistica stradale, questa dimensione del logos assume un significato profondo: la ricostruzione è un atto di pensiero che diventa parola, una narrazione razionale dell’evento. Il perito non si limita a “dire” ciò che è accaduto, ma deve “pensarlo” nel modo corretto, affinché la parola che lo esprime mantenga coerenza con la verità dei fatti.
Questo rapporto tra pensiero e parola diventa oggi ancora più centrale con l’avvento dell’intelligenza artificiale, che elabora linguaggio e dati secondo logiche probabilistiche e statistiche.
Intelligenza artificiale: una sfida cruciale
L’intelligenza artificiale, nel campo delle scienze forensi e dell’infortunistica stradale, rappresenta una sfida radicale, come peraltro in tutti gli aspetti della vita. Essa si fonda su reti neuronali che elaborano enormi quantità di dati linguistici, visivi e numerici, producendo risultati che spesso appaiono più rapidi, più coerenti e più “oggettivi” dell’elaborazione umana. Tuttavia, la sua natura deve essere compresa nel modo corretto: l’intelligenza artificiale non è generativa nel senso umano del termine.
Generare, per l’uomo, significa dare origine a qualcosa che prima non esisteva, fondendo esperienza, intuizione e coscienza. L’intelligenza artificiale, invece, non genera, ma rielabora: essa combina, predice, simula, calcola. È un mezzo, o meglio è “…in mezzo…” tra i dati che introduciamo attraverso le domande e la valutazione che operiamo delle risposte che ci vengono fornite.
Il consulente tecnico che utilizza strumenti di intelligenza artificiale non deve delegare alla macchina la valutazione o la responsabilità dell’interpretazione. Deve piuttosto scegliere — con competenza — i dati da fornire all’elaborazione, controllarne la qualità, verificare la coerenza dei risultati e, soprattutto, garantire che l’intero processo rimanga fedele ai criteri di verificabilità e di trasparenza che la logica scientifica impone.
Affidarsi ciecamente all’intelligenza artificiale significherebbe rinunciare alla verifica umana del senso. I dati forniti alla macchina non sono mai neutrali: essi rispecchiano le modalità di acquisizione, le condizioni ambientali, la qualità degli strumenti, la prospettiva dell’osservatore. Se il dato di partenza è falsato o incompleto, anche il risultato lo sarà, indipendentemente dalla potenza computazionale impiegata.
Il valore dell’osservazione e della documentazione diretta
In questo senso, il ricostruttore deve avere un approccio rivoluzionario, ma nel senso originario del termine: non come rottura, bensì come ritorno. Una rivoluzione è il movimento che riporta un corpo celeste al suo punto di partenza dopo un giro completo. Così il tecnico deve tornare all’essenza del proprio mestiere: osservare, misurare, documentare, garantire la qualità dei dati. L’intelligenza artificiale può aiutare, ma non può sostituire l’occhio critico e la responsabilità epistemica dell’uomo.
Nessuna ricostruzione può essere credibile se non si fonda su un dato controllato e verificabile. La visione diretta dei luoghi, la documentazione accurata dei veicoli, l’analisi materiale delle deformazioni sono momenti insostituibili dell’indagine tecnica. Ogni lacuna, ogni omissione, ogni superficialità nella raccolta dei dati si traduce in una perdita di verità e apre la porta alla manipolazione.
L’intelligenza artificiale, in questo senso, agisce solo sugli elementi che le vengono forniti. Se l’origine del dato è incerta, l’intero processo è viziato. È dunque necessario che il consulente — come garante tecnico — certifichi l’autenticità e la qualità delle informazioni utilizzate. Questo significa stare vicini a un principio fondante delle scienze forensi: la tracciabilità del dato, la possibilità di risalire a chi lo ha acquisito, in che modo, con quali strumenti e con quale grado di precisione.
L’equilibrio tra verosimiglianza e verità
Un rischio sottile ma pericoloso accompagna l’uso crescente delle tecnologie predittive: l’abitudine ad accontentarsi di ciò che appare verosimile. La società digitale tende a confondere il plausibile con il vero, l’aderenza statistica con la certezza logica. Nel campo della giustizia, questa confusione può diventare devastante.
Un processo civile o penale non può fondarsi su ciò che “assomiglia” alla verità, ma deve tendere alla verità stessa, pur nella consapevolezza dei suoi limiti. Accettare il “simil-verosimile” come criterio sufficiente significherebbe ridurre il giudizio a una media di percezioni, trasformando la giustizia in un algoritmo di consenso.
Il compito del tecnico ricostruttore, e più in generale di tutte le figure che operano nelle scienze forensi, è dunque quello di resistere alla semplificazione. La verità processuale, per quanto relativa e mediata, deve rimanere ancorata a una struttura logica rigorosa e a un controllo empirico verificabile.
Una nuova alleanza tra scienza e diritto
Tutto ciò conduce a una conclusione di ordine culturale: la necessità di una nuova alleanza tra scienza e diritto, tra tecnico e giurista. Non si tratta di un’alleanza di comodo, ma di una collaborazione epistemologica fondata sulla consapevolezza che entrambi operano su un terreno comune: la ricerca della verità in condizioni di incertezza.
Il tecnico deve parlare un linguaggio comprensibile al diritto, e il diritto deve stare accanto e leggere i linguaggi della scienza. Solo in questo modo la ricostruzione di un incidente stradale potrà essere pienamente compresa nel suo valore probatorio e umano.
L’infortunistica stradale come ricostruzione di un fatto, in definitiva, non è un ambito isolato, ma un crocevia di saperi: un punto d’incontro tra fisica e logica, tra linguaggio e responsabilità, tra osservazione e interpretazione. Essa dimostra che la verità tecnica non è mai pura matematica, ma un processo dinamico di confronto, revisione, dialogo.
Conclusione: il sapere come responsabilità
In un’epoca dominata dalla velocità dell’informazione e dalla delega alle macchine, il valore della responsabilità umana del sapere diventa il fondamento etico di ogni professione forense.
La scienza forense non è solo tecnologia applicata al diritto: è cultura della verità, è custodia della misura e del metodo.
In questo senso, la ricostruzione di un incidente stradale non è un mero esercizio di simulazione, ma un atto di giustizia conoscitiva, che contribuisce a restituire senso, proporzione e responsabilità all’interno del processo.
Solo in questa prospettiva — quella di un sapere complesso ma consapevole, tecnico ma etico, analitico ma umano, analitica ma di insieme — la figura del ricostruttore potrà assumere il ruolo che le compete: non quello di semplice calcolatore di dati, ma di interprete del reale, ponte fra la materia e il senso, fra la scienza e la giustizia.